09.12.2022

atrofia vulvo-vaginale, la patologia “silenziosa”

Nonostante l’ampia diffusione, questa patologia è ancora oggi sottostimata e parlarne è fonte di imbarazzo per migliaia di donne. Diversi i percorsi di cura presso il centro medico InSalus: fra questi un trattamento senza farmaci basato sulla radiofrequenza.

Ha un’incidenza altissima, colpisce in Italia una donna su due dopo la menopausa e provoca sintomi come secchezza vaginale, prurito e dolore ai rapporti sessuali. 

E’ l’atrofia vulvo-vaginale (AVV), patologia che ha un forte impatto negativo sulla qualità di vita della donna. 

I percorsi terapeutici per la sua cura sono diversi: dai lubrificanti vaginali alla terapia estrogenica locale, sino ad un nuovo trattamento senza farmaci basato su uno strumento a radiofrequenza utilizzato presso il centro Insalus. 

Che cos'è l'atrofia vulvo-vaginale e da cosa è causata? 

L’atrofia vulvo-vaginale è una condizione cronica che tende a peggiorare nel tempo. Si caratterizza per l’assottigliamento della mucosa vaginale, con conseguente riduzione della vascolarizzazione, dell’elasticità e del grado di idratazione. Inoltre, si contraddistingue per un aumento del pH vaginale associato ad una riduzione dei lactobacilli, batteri buoni che proteggono la flora delle mucose vaginali. 

Quali sono i sintomi dell'atrofia vulvo-vaginale? 

Le donne che soffrono di AVV presentano una serie di sintomi tipici della menopausa (Sindrome Genitourinaria della Menopausa): secchezza vaginale, prurito, dolore e sanguinamento nei rapporti sessuali coinvolgono tutta l’area vulvo-vaginale. L’AVV interessa anche il tratto urinario inferiore: l’aumento della necessità e l’improvviso e irrefrenabile stimolo a urinare sono fra i sintomi più comuni, oltre a possibili infezioni che possono colpire tutta l’area. 

Che conseguenze può avere sulla vita di coppia? 

L’AVV è una condizione che non solo peggiora la percezione fisica che la donna ha di sé stessa, ma è anche frequentemente associata a rapporti sessuali dolorosi (dispareunia). Ha quindi un forte impatto sulla vita relazionale, tanto che circa due terzi delle donne che soffrono di atrofia vulvo-vaginale evitano l’intimità con il partner proprio per questa ragione. 

Si calcola che l'AVV colpisca in Italia una donna su 2: è possibile che la paura di parlarne abbia portato questa patologia ad essere sottovalutata? 

Nonostante sia estremamente diffusa, l’AVV è una patologia sottostimata perché coinvolge la sfera intima delle donne ed è percepita pertanto come un tema imbarazzante da trattare. Rappresenta fonte di grande disagio e vergogna, in particolare per le donne in età avanzata, alle quali risulta difficile parlarne persino con i medici di medicina generale. 

Solitamente colpisce le donne in menopausa. Può colpire anche donne più giovani? 


L’AVV è una patologia strettamente legata alla carenza di estrogeni, condizione che caratterizza la menopausa. Questa si può però manifestare precocemente, come conseguenza di particolari situazioni patologiche: raramente risulta legata a fattori genetici, ambientali o a stili di vita ; più frequentemente è dovuta a cause iatrogene, ovvero indotta da cure mediche, chemioterapia, radioterapia o conseguenza di un intervento di asportazione delle ovaie (intervento chirurgico demolitivo di ovariectomia bilaterale).

È vero che ha una maggior incidenza sulle pazienti oncologiche?

L’AVV si presenta nel 70% delle pazienti con pregressa diagnosi di tumore al seno (ovvero il 20% in più rispetto alla popolazione sana) come effetto collaterale delle terapie oncologiche che spesso includono anche trattamenti farmacologi endocrini responsabili della menopausa.

Qual è il percorso terapeutico per il trattamento dell'atrofia vulvo-vaginale?

Quando idratanti e lubrificanti vaginali non sono efficaci, la terapia estrogenica locale rappresenta la prima opzione di trattamento. Se non controindicata è utile poiché l’assorbimento sistemico è limitato, non aumenta il rischio trombotico e ha un basso costo. Tuttavia, per la diffidenza che le donne comunemente nutrono nei confronti della terapia ormonale, questa soluzione è difficilmente accettata e poco rispettata dalle pazienti: di conseguenza risulta scarsamente efficace. Un’ulteriore opzione farmacologica, non ormonale, è rappresentata dalla terapia con modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM) come l’ospemifene. Alternativi alla terapia farmacologica vi sono invece trattamenti fisici come la radiofrequenza, che ha dimostrato effetti benefici sui sintomi vulvo-vaginali e anche sulla ripresa dell'attività sessuale.



Articolo di:

Pellegrino Antonio

Primario di Ginecologia e Ostetricia